DOMANDE FREQUENTI SUL CONDOMINIO
Come deve qualificarsi la condotta del condòmino che dal proprio terrazzo esclusivo apre un varco nell’adiacente lastrico condominiale, apponendovi un cancelletto divisorio e collocando alcuni vasi con piante, un tavolo e delle sedie nella parte comune? In particolare deve parlarsi di abuso o si tratta di un uso legittimo del bene comune?
Jul. 27, 2015 by webmaster
La situazione in fatto riferita in quesito va inquadrata nella fattispecie dell’art.1102 cod.civ., il quale sostanzialmente stabilisce il diritto del comproprietario di servirsi della cosa comune, apportandovi a proprie spese le modifiche necessarie al migliore utilizzo, senza alterarne la destinazione e senza impedirne il pari uso altrui.
E’ ammesso in giurisprudenza anche un utilizzo più intenso della cosa comune da parte del singolo comproprietario al fine di ritrarre dalla cosa utilità peculiari e specifiche, purchè tale utilizzo rimanga nei limiti di legge anzidetti.
Si tratta quindi di verificare se la condotta del comproprietario sopra descritta integri o meno una violazione del disposto di legge.
Indubbiamente la condotta riferita potrebbe sembrare prodromica all’appropriazione del bene comune per renderlo, in futuro, di esclusivo dominio dell’utilizzatore.
Tuttavia l’esame del singolo fatto non può sconfinare nell’esame congetturale delle possibili intenzioni del condòmino stesso.
Al momento i fatti narrati in quesito, per quanto siano sicura fonte di malintesi fra i condòmini, non sembrano integrare gli estremi di una violazione del disposto dell’art.1102 cod.civ., né appaiono univocamente diretti all’illegittima attrazione del lastrico comune nella sfera di disponibilità esclusiva del singolo.
La violazione circa il rispetto dello specifico obbligo di consentire il pari utilizzo del bene agli altri condòmini dovrà valutarsi anche con riferimento alle dimensioni della rimanente parte del lastrico ed alle utilità anche eventuali, potenziali e concorrenti che essi potrebbero ritrarne.
Sembra quindi opportuno riferire la posizione della giurisprudenza in materia:
“Il lastrico solare, ai sensi dell'art. 1117 cod. civ., è oggetto di proprietà comune dei diversi proprietari dei piani o porzioni di piano dell'edificio, ove non risulti il contrario, in modo chiaro ed univoco, dal titolo (per tale intendendosi gli atti di acquisto dei singoli appartamenti, o delle altre unità immobiliari, nonché il regolamento di condominio accettato dai singoli condomini), e, quale superficie terminale dell'edificio, esso svolge l'indefettibile funzione primaria di protezione dell'edificio medesimo, pur potendo essere utilizzato in altri usi accessori, ed in particolare come terrazzo, nel qual caso anche l'uso esclusivo da parte di un solo condomino non integra violazione dell'art. 1120 cod. civ., non venendo comunque meno la suindicata funzione primaria” (Cass 16-2-2005 n.3102).
Conformi anche Cass. 5162/90 e Cass. 3696/88.
Fra le pronunce più recenti si deve segnalare la seguente:
“In tema di condominio negli edifici, al singolo condomino è consentito servirsi in modo esclusivo di parti comuni dell'edificio soltanto alla duplice condizione che il bene, nelle parti residue, sia sufficiente a soddisfare anche le potenziali, analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti alla comunione e che lo stesso, ove tutte le predette esigenze risultino soddisfatte, non perda la sua normale ed originaria destinazione, per il cui mutamento è necessaria l'unanimità dei consensi”. (Cass.21-9-2011 n.19207)
In senso conforme, vedasi anche Cassazione ordinanza 18 gennaio 2011 n. 1062, Cass. 14 giugno 2006 n. 13752, Cass. 19 gennaio 2006 n. 972, Cass.28 gennaio 2005 n. 1737.
Ad analoghe conclusioni arriva anche una pronuncia di merito:
“Si verifica abuso della cosa comune, ai sensi della disposizione di cui all'art. 1102, quando vi sia alterazione della sua destinazione ovvero l'impedimento del pari uso di essa da parte degli altri partecipanti alla comunione. Pertanto nessuno deve impedire agli altri di fare uso della cosa secondo la sua destinazione e quando tale destinazione sia quella propria di una pertinenza di un'abitazione e, contemporaneamente, di una attività commerciale è normale solo l'uso che non alteri anche l'estetica, la tranquillità, il decoro e l'ordine esterno del fabbricato”. (Sulla base di tale principio la Corte ha escluso che l'appellante potesse utilizzare la corte esterna del fabbricato, nella contitolarità dell'appellante medesimo e dell'appellato, come sala all'aperto della propria attività di ristorazione). (Corte d'Appello Roma, Sent. 21 dicembre 2010, n. 5344).
Nel caso di specie l’apertura del cancelletto divisorio con il terrazzo esclusivo e la collocazione di piante e altre suppellettili da parte del condòmino non ha alterato la destinazione del bene comune, avente funzione di copertura dell’edificio.
Quanto al rispetto dell’altrui pari utilizzo, la questione dovrà essere discussa in assemblea.
E’ ammesso in giurisprudenza anche un utilizzo più intenso della cosa comune da parte del singolo comproprietario al fine di ritrarre dalla cosa utilità peculiari e specifiche, purchè tale utilizzo rimanga nei limiti di legge anzidetti.
Si tratta quindi di verificare se la condotta del comproprietario sopra descritta integri o meno una violazione del disposto di legge.
Indubbiamente la condotta riferita potrebbe sembrare prodromica all’appropriazione del bene comune per renderlo, in futuro, di esclusivo dominio dell’utilizzatore.
Tuttavia l’esame del singolo fatto non può sconfinare nell’esame congetturale delle possibili intenzioni del condòmino stesso.
Al momento i fatti narrati in quesito, per quanto siano sicura fonte di malintesi fra i condòmini, non sembrano integrare gli estremi di una violazione del disposto dell’art.1102 cod.civ., né appaiono univocamente diretti all’illegittima attrazione del lastrico comune nella sfera di disponibilità esclusiva del singolo.
La violazione circa il rispetto dello specifico obbligo di consentire il pari utilizzo del bene agli altri condòmini dovrà valutarsi anche con riferimento alle dimensioni della rimanente parte del lastrico ed alle utilità anche eventuali, potenziali e concorrenti che essi potrebbero ritrarne.
Sembra quindi opportuno riferire la posizione della giurisprudenza in materia:
“Il lastrico solare, ai sensi dell'art. 1117 cod. civ., è oggetto di proprietà comune dei diversi proprietari dei piani o porzioni di piano dell'edificio, ove non risulti il contrario, in modo chiaro ed univoco, dal titolo (per tale intendendosi gli atti di acquisto dei singoli appartamenti, o delle altre unità immobiliari, nonché il regolamento di condominio accettato dai singoli condomini), e, quale superficie terminale dell'edificio, esso svolge l'indefettibile funzione primaria di protezione dell'edificio medesimo, pur potendo essere utilizzato in altri usi accessori, ed in particolare come terrazzo, nel qual caso anche l'uso esclusivo da parte di un solo condomino non integra violazione dell'art. 1120 cod. civ., non venendo comunque meno la suindicata funzione primaria” (Cass 16-2-2005 n.3102).
Conformi anche Cass. 5162/90 e Cass. 3696/88.
Fra le pronunce più recenti si deve segnalare la seguente:
“In tema di condominio negli edifici, al singolo condomino è consentito servirsi in modo esclusivo di parti comuni dell'edificio soltanto alla duplice condizione che il bene, nelle parti residue, sia sufficiente a soddisfare anche le potenziali, analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti alla comunione e che lo stesso, ove tutte le predette esigenze risultino soddisfatte, non perda la sua normale ed originaria destinazione, per il cui mutamento è necessaria l'unanimità dei consensi”. (Cass.21-9-2011 n.19207)
In senso conforme, vedasi anche Cassazione ordinanza 18 gennaio 2011 n. 1062, Cass. 14 giugno 2006 n. 13752, Cass. 19 gennaio 2006 n. 972, Cass.28 gennaio 2005 n. 1737.
Ad analoghe conclusioni arriva anche una pronuncia di merito:
“Si verifica abuso della cosa comune, ai sensi della disposizione di cui all'art. 1102, quando vi sia alterazione della sua destinazione ovvero l'impedimento del pari uso di essa da parte degli altri partecipanti alla comunione. Pertanto nessuno deve impedire agli altri di fare uso della cosa secondo la sua destinazione e quando tale destinazione sia quella propria di una pertinenza di un'abitazione e, contemporaneamente, di una attività commerciale è normale solo l'uso che non alteri anche l'estetica, la tranquillità, il decoro e l'ordine esterno del fabbricato”. (Sulla base di tale principio la Corte ha escluso che l'appellante potesse utilizzare la corte esterna del fabbricato, nella contitolarità dell'appellante medesimo e dell'appellato, come sala all'aperto della propria attività di ristorazione). (Corte d'Appello Roma, Sent. 21 dicembre 2010, n. 5344).
Nel caso di specie l’apertura del cancelletto divisorio con il terrazzo esclusivo e la collocazione di piante e altre suppellettili da parte del condòmino non ha alterato la destinazione del bene comune, avente funzione di copertura dell’edificio.
Quanto al rispetto dell’altrui pari utilizzo, la questione dovrà essere discussa in assemblea.
Come si ripartiscono le spese dei balconi incassati?
Jul. 28, 2015 by webmaster
Nella fattispecie dedotta in quesito le fotografie raffigurano balconi che per un lato sono a filo con il muro perimetrale della facciata, per un altro lato sono aperti e si inseriscono nel prospetto.
Questo tipo di balcone non può definirsi “aggettante”, in quanto è aggettante quel balcone che: a) sporge rispetto alla facciata dello stabile, costituendo così il prolungamento della corrispondente unità immobiliare; b) si protende nel vuoto senza essere compreso nella struttura portante verticale dell’edificio; c) ha autonomia statica in quanto agganciato esclusivamente al solaio interno.
I balconi in questione rientrano invece nella categoria dei balconi a castello, che è quella tipologia di balcone che non sporge rispetto alla facciata dello stabile, ma è posto all’interno del perimetro esterno dell’edificio, inserito nella sua struttura portante e non si protende autonomo nel vuoto.
Il balcone a castello a sua volta rappresenta una tipologia dei cc.dd. balconi incassati.
Per questo tipo di balcone le spese per il rifacimento del parapetto in muratura dovranno essere poste a carico di tutti i condomini ai sensi dell’art. 1123, primo comma, c.c. poiché esso fa parte integrante della facciata dell’edificio.
Quanto al sottobalcone, nella tipologia del balcone incassato esso viene considerato alla stessa stregua dei solai, sicchè la spesa relativa deve essere sostenuta da ciascuno dei proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti in ragione della metà (art. 1125 cod. civ.): infatti, la conformazione del balcone incassato fa sì che esso funga, contemporaneamente, da sostegno del piano superiore e da copertura del piano inferiore (Cass. 21 gennaio 2000 n. 637).
Questo tipo di balcone non può definirsi “aggettante”, in quanto è aggettante quel balcone che: a) sporge rispetto alla facciata dello stabile, costituendo così il prolungamento della corrispondente unità immobiliare; b) si protende nel vuoto senza essere compreso nella struttura portante verticale dell’edificio; c) ha autonomia statica in quanto agganciato esclusivamente al solaio interno.
I balconi in questione rientrano invece nella categoria dei balconi a castello, che è quella tipologia di balcone che non sporge rispetto alla facciata dello stabile, ma è posto all’interno del perimetro esterno dell’edificio, inserito nella sua struttura portante e non si protende autonomo nel vuoto.
Il balcone a castello a sua volta rappresenta una tipologia dei cc.dd. balconi incassati.
Per questo tipo di balcone le spese per il rifacimento del parapetto in muratura dovranno essere poste a carico di tutti i condomini ai sensi dell’art. 1123, primo comma, c.c. poiché esso fa parte integrante della facciata dell’edificio.
Quanto al sottobalcone, nella tipologia del balcone incassato esso viene considerato alla stessa stregua dei solai, sicchè la spesa relativa deve essere sostenuta da ciascuno dei proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti in ragione della metà (art. 1125 cod. civ.): infatti, la conformazione del balcone incassato fa sì che esso funga, contemporaneamente, da sostegno del piano superiore e da copertura del piano inferiore (Cass. 21 gennaio 2000 n. 637).
Come si ripartiscono le spese relative ai balconi aggettanti? E le spese di restauro di un terrazzo parzialmente aggettante? E se il terrazzo copre un solo piano? Sulla natura dei balconi e sulla imputabilità delle relative spese.
Jul. 27, 2015 by webmaster
Secondo un indirizzo giurisprudenziale oggi prevalente, il balcone aggettante viene ritenuto accessorio dell'appartamento, con esclusione di ogni natura condominiale se non nel caso in cui il balcone o suoi singoli componenti costituiscano motivo ornamentale di particolare rilievo sul prospetto architettonico dell'edificio.
A parte quest'unica eccezione il balcone viene quindi considerato come una parte dell'appartamento cui offre utilità esclusiva.
I frontalini dei balconi aggettanti sono dunque da ritenersi, per indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, di esclusiva proprietà del titolare del balcone medesimo. Analogo discorso deve farsi per i parapetti e il sottobalcone.
Si forniscono di seguito i riferimenti giurisprudenziali circa l'indirizzo enunciato: Cass.8159/1996; Cass.637/2000; Cass.1784/2007; Cass.15713/2007.
Tra le pronunce in argomento si segnala la seguente: "I balconi aggettanti di un edificio in condominio, costituendo un prolungamento della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa: solo i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si devono considerare beni comuni a tutti i condòmini quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole. Quanto ai rapporti tra il proprietario del singolo balcone e il proprietario di analogo manufatto, posto al piano sottostante sulla stessa verticale, deve escludersi una presunzione di proprietà comune del balcone stesso. Ancorchè, infatti, in una tale evenienza possa riconoscersi alla soletta del balcone funzione di copertura, rispetto al balcone sottostante, trattasi di copertura disgiunta dalla funzione di sostegno e, quindi, non indispensabile per l'esistenza stessa dei piani sovrapposti, per cui non può parlarsi di elemento a servizio di entrambi gli immobili (Come si verifica, invece, se i balconi stessi siano incassati nel corpo dell'edificio, atteso che in quest'ultima eventualità i vari balconi sovrastanti svolgono contemporaneamente funzione sia di separazione sia di copertura sia di sostegno) " (Cass.II sent.30-7-2004 n.14576)
La spesa per il restauro del balcone aggettante, del frontalino, del parapetto e del sottobalcone deve quindi addebitarsi esclusivamente al proprietario del balcone.
Nella fattispecie dedotta in quesito deve ritenersi che i balconi aggettanti non svolgano alcuna particolare funzione decorativa o estetica, con la conseguenza che le spese afferenti riguardano solo i rispettivi proprietari e che coloro che non hanno balconi ne sono esclusi.
Sul restauro del terrazzo in aggetto parziale.
Il corretto criterio di ripartizione della spesa di rifacimento del terrazzo esclusivo parzialmente aggettante prevede che, conformemente ad un orientamento giurisprudenziale ormai acquisito, siano addebitate al solo utilizzatore esclusivo le spese afferenti la parte in aggetto, mentre la restante parte avente funzione di copertura delle unità immobiliari sottostanti viene ripartita ai sensi dell'art.1126 cod.civ.
Secondo la giurisprudenza la parte aggettante di una terrazza di piano attico rappresenta infatti esclusivamente un ampliamento della superficie utile della terrazza la cui spesa di manutenzione va ripartita in base all'art. 1126 cod. civ. considerando tale superficie come quella di un balcone (Trib. Catania 20 marzo 1986, n. 410). Le spese di riparazione della parte in aggetto della terrazza di proprietà esclusiva di uno dei condomini gravano soltanto su questo ultimo (App. L'Aquila 14 febbraio 1992).
La spesa per le copertine del parapetto compete al proprietario del terrazzo medesimo in quanto esse costituiscono accessorio del parapetto
Con riferimento alla porzione di spesa da ripartire in funzione del criterio di cui all'art.1126 cod.civ., va quindi escluso il criterio di ripartizione in base ad una proporzione metrica della copertura.
In sostanza non si può limitare la partecipazione millesimale alla spesa in proporzione alla sola area coperta dal lastrico da restaurare.
Ne consegue che, ove il lastrico solare copra una porzione limitata di un appartamento sottostante, questo partecipi integralmente secondo la propria quota millesimale.
La giurisprudenza afferma che l'art.1126 cod.civ., nel chiamare a partecipare alla spesa relativa alle riparazioni del lastrico solare, nella misura di due terzi, "tutti i condòmini dell'edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve", si riferisce a coloro ai quali appartengono le porzioni immobiliari comprese nella proiezione verticale del manufatto da riparare o ricostruire, alle quali, pertanto, esso finge da copertura, con esclusione dei condòmini alle cui porzioni il lastrico stesso non sia sovrapposto (Cass.4-6-2001 n.7472).
"E' sufficiente quindi che si trovi sotto il lastrico solare anche una sola parte di una unità immobiliare, perché la proprietà di detta unità concorra alla ripartizione delle spese pari ai due terzi dell'intero, restando a carico della proprietà del lastrico il restante un terzo. Quando l' art. 1126 c.c. fa riferimento alla "porzione di piano" non intende avere riguardo alla "porzione" della proprietà, per ragguagliarvi la ripartizione dei restanti due terzi delle spese, ma alla porzione come unità: l'unica esclusione da detta ripartizione attiene a quelle unità che in alcun modo siano "coperte" dal lastrico." (Cass.27-11-2001 n.3343).
Si ritiene quindi di gran lunga preferibile il criterio dell'attribuzione delle spese di rifacimento nella misura stabilita dall'art.1126 cod.civ. senza alcun computo di proporzionalità dell'area coperta.
Sul restauro della terrazza a copertura di un solo piano sottostante.
Secondo un orientamento recente, la fattispecie sembra poter essere disciplinata con il criterio di ripartizione di cui all'art.1125 cod.civ., che prevede la ripartizione della spesa in parti uguali fra i proprietari dei due diversi piani.
Nel caso che ci occupa, infatti, il solaio di copertura dei locali interrati funge da sostegno al terrazzo (Cass.14-9-2005 n.18194, con un precedente in Cass.18-3-1989 n.1362 e altre).
Si riporta in massima la recente sentenza, che ha innovato l'orientamento precedente:
"In materia di condominio, qualora si debba procedere alla riparazione del cortile o viale di accesso all'edificio condominiale che funga anche da copertura per i locali sotterranei di proprietà esclusiva di un singolo condòmino, ai fini della ripartizione delle relative spese non si può ricorrere ai criteri previsti dall'art.1126 cod.civ. (presupponendosi l'equiparazione del bene fuori dalla proiezione dell'immobile condominiale, ma al servizio di questo, a una terrazza a livello), dovendosi invece procedere ad una applicazione analogica dell'art.1125 cod.civ. il quale accolla per intero le spese relative alla manutenzione della parte della struttura complessa identificantesi con il pavimento del piano superiore a chi con l'uso esclusivo della stessa determina la necessità dell'inerente manutenzione, in tal senso verificando un'applicazione particolare del principio generale dettato dall'art.1123 co.2 cod.civ.".
L'indirizzo esposto non è però univoco, essendo intervenute altre pronunce successivamente che si sono riportate al criterio dell'art.1126 cod.civ.
Recentissima è un'altra pronuncia della fine del 2008 che sembra ritornare invece all'indirizzo interpretativo che privilegia l'applicazione dell'art.1125 cod.civ. (divisione in parti uguali fra i proprietari dei due diversi piani).
A parte quest'unica eccezione il balcone viene quindi considerato come una parte dell'appartamento cui offre utilità esclusiva.
I frontalini dei balconi aggettanti sono dunque da ritenersi, per indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, di esclusiva proprietà del titolare del balcone medesimo. Analogo discorso deve farsi per i parapetti e il sottobalcone.
Si forniscono di seguito i riferimenti giurisprudenziali circa l'indirizzo enunciato: Cass.8159/1996; Cass.637/2000; Cass.1784/2007; Cass.15713/2007.
Tra le pronunce in argomento si segnala la seguente: "I balconi aggettanti di un edificio in condominio, costituendo un prolungamento della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa: solo i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si devono considerare beni comuni a tutti i condòmini quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole. Quanto ai rapporti tra il proprietario del singolo balcone e il proprietario di analogo manufatto, posto al piano sottostante sulla stessa verticale, deve escludersi una presunzione di proprietà comune del balcone stesso. Ancorchè, infatti, in una tale evenienza possa riconoscersi alla soletta del balcone funzione di copertura, rispetto al balcone sottostante, trattasi di copertura disgiunta dalla funzione di sostegno e, quindi, non indispensabile per l'esistenza stessa dei piani sovrapposti, per cui non può parlarsi di elemento a servizio di entrambi gli immobili (Come si verifica, invece, se i balconi stessi siano incassati nel corpo dell'edificio, atteso che in quest'ultima eventualità i vari balconi sovrastanti svolgono contemporaneamente funzione sia di separazione sia di copertura sia di sostegno) " (Cass.II sent.30-7-2004 n.14576)
La spesa per il restauro del balcone aggettante, del frontalino, del parapetto e del sottobalcone deve quindi addebitarsi esclusivamente al proprietario del balcone.
Nella fattispecie dedotta in quesito deve ritenersi che i balconi aggettanti non svolgano alcuna particolare funzione decorativa o estetica, con la conseguenza che le spese afferenti riguardano solo i rispettivi proprietari e che coloro che non hanno balconi ne sono esclusi.
Sul restauro del terrazzo in aggetto parziale.
Il corretto criterio di ripartizione della spesa di rifacimento del terrazzo esclusivo parzialmente aggettante prevede che, conformemente ad un orientamento giurisprudenziale ormai acquisito, siano addebitate al solo utilizzatore esclusivo le spese afferenti la parte in aggetto, mentre la restante parte avente funzione di copertura delle unità immobiliari sottostanti viene ripartita ai sensi dell'art.1126 cod.civ.
Secondo la giurisprudenza la parte aggettante di una terrazza di piano attico rappresenta infatti esclusivamente un ampliamento della superficie utile della terrazza la cui spesa di manutenzione va ripartita in base all'art. 1126 cod. civ. considerando tale superficie come quella di un balcone (Trib. Catania 20 marzo 1986, n. 410). Le spese di riparazione della parte in aggetto della terrazza di proprietà esclusiva di uno dei condomini gravano soltanto su questo ultimo (App. L'Aquila 14 febbraio 1992).
La spesa per le copertine del parapetto compete al proprietario del terrazzo medesimo in quanto esse costituiscono accessorio del parapetto
Con riferimento alla porzione di spesa da ripartire in funzione del criterio di cui all'art.1126 cod.civ., va quindi escluso il criterio di ripartizione in base ad una proporzione metrica della copertura.
In sostanza non si può limitare la partecipazione millesimale alla spesa in proporzione alla sola area coperta dal lastrico da restaurare.
Ne consegue che, ove il lastrico solare copra una porzione limitata di un appartamento sottostante, questo partecipi integralmente secondo la propria quota millesimale.
La giurisprudenza afferma che l'art.1126 cod.civ., nel chiamare a partecipare alla spesa relativa alle riparazioni del lastrico solare, nella misura di due terzi, "tutti i condòmini dell'edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve", si riferisce a coloro ai quali appartengono le porzioni immobiliari comprese nella proiezione verticale del manufatto da riparare o ricostruire, alle quali, pertanto, esso finge da copertura, con esclusione dei condòmini alle cui porzioni il lastrico stesso non sia sovrapposto (Cass.4-6-2001 n.7472).
"E' sufficiente quindi che si trovi sotto il lastrico solare anche una sola parte di una unità immobiliare, perché la proprietà di detta unità concorra alla ripartizione delle spese pari ai due terzi dell'intero, restando a carico della proprietà del lastrico il restante un terzo. Quando l' art. 1126 c.c. fa riferimento alla "porzione di piano" non intende avere riguardo alla "porzione" della proprietà, per ragguagliarvi la ripartizione dei restanti due terzi delle spese, ma alla porzione come unità: l'unica esclusione da detta ripartizione attiene a quelle unità che in alcun modo siano "coperte" dal lastrico." (Cass.27-11-2001 n.3343).
Si ritiene quindi di gran lunga preferibile il criterio dell'attribuzione delle spese di rifacimento nella misura stabilita dall'art.1126 cod.civ. senza alcun computo di proporzionalità dell'area coperta.
Sul restauro della terrazza a copertura di un solo piano sottostante.
Secondo un orientamento recente, la fattispecie sembra poter essere disciplinata con il criterio di ripartizione di cui all'art.1125 cod.civ., che prevede la ripartizione della spesa in parti uguali fra i proprietari dei due diversi piani.
Nel caso che ci occupa, infatti, il solaio di copertura dei locali interrati funge da sostegno al terrazzo (Cass.14-9-2005 n.18194, con un precedente in Cass.18-3-1989 n.1362 e altre).
Si riporta in massima la recente sentenza, che ha innovato l'orientamento precedente:
"In materia di condominio, qualora si debba procedere alla riparazione del cortile o viale di accesso all'edificio condominiale che funga anche da copertura per i locali sotterranei di proprietà esclusiva di un singolo condòmino, ai fini della ripartizione delle relative spese non si può ricorrere ai criteri previsti dall'art.1126 cod.civ. (presupponendosi l'equiparazione del bene fuori dalla proiezione dell'immobile condominiale, ma al servizio di questo, a una terrazza a livello), dovendosi invece procedere ad una applicazione analogica dell'art.1125 cod.civ. il quale accolla per intero le spese relative alla manutenzione della parte della struttura complessa identificantesi con il pavimento del piano superiore a chi con l'uso esclusivo della stessa determina la necessità dell'inerente manutenzione, in tal senso verificando un'applicazione particolare del principio generale dettato dall'art.1123 co.2 cod.civ.".
L'indirizzo esposto non è però univoco, essendo intervenute altre pronunce successivamente che si sono riportate al criterio dell'art.1126 cod.civ.
Recentissima è un'altra pronuncia della fine del 2008 che sembra ritornare invece all'indirizzo interpretativo che privilegia l'applicazione dell'art.1125 cod.civ. (divisione in parti uguali fra i proprietari dei due diversi piani).
E' obbligato il Condominio a concedere l'allaccio agli impianti idrico e fognario al proprietario di un magazzino C/2, da sempre sprovvisto di tali allacci?
Jul. 27, 2015 by webmaster
L'allaccio dell'unità immobiliare in questione agli impianti condominiali preesistenti deve ritenersi consentito ai sensi del disposto dell'art.1102 cod.civ..
A ciò non è di ostacolo l'originaria mancanza di tali allacci, né il nuovo allaccio comporta l'alterazione della destinazione degli impianti al servizio condominiale.
Al riguardo si segnala la seguente pronuncia, che si ritiene perfettamente adatta alla fattispecie in esame:
'In tema di condominio, l'allaccio di nuove utenze ad una rete non costituisce di per sè una modifica della stessa, perchè una rete di servizi - sia fognaria, elettrica, idrica o di altro tipo - è per sua natura suscettibile di accogliere nuove utenze. È pertanto onere del condominio, che ne voglia negare l'autorizzazione, dimostrare che, nel caso particolare, l'allaccio di una sola nuova utenza incide nella funzionalità dell'impianto, non potendo opporsi che il divieto all'allaccio sia finalizzato ad impedire un mutamento di destinazione della unità immobiliare. (Nella specie è stata annullata la delibera assembleare con cui il condominio aveva negato a un condomino l'autorizzazione ad allacciare il proprio immobile, destinato a magazzino, alla rete idrica, fognante e citotelefonica)' (Cass.17-10-2007 n.21832).
A ciò non è di ostacolo l'originaria mancanza di tali allacci, né il nuovo allaccio comporta l'alterazione della destinazione degli impianti al servizio condominiale.
Al riguardo si segnala la seguente pronuncia, che si ritiene perfettamente adatta alla fattispecie in esame:
'In tema di condominio, l'allaccio di nuove utenze ad una rete non costituisce di per sè una modifica della stessa, perchè una rete di servizi - sia fognaria, elettrica, idrica o di altro tipo - è per sua natura suscettibile di accogliere nuove utenze. È pertanto onere del condominio, che ne voglia negare l'autorizzazione, dimostrare che, nel caso particolare, l'allaccio di una sola nuova utenza incide nella funzionalità dell'impianto, non potendo opporsi che il divieto all'allaccio sia finalizzato ad impedire un mutamento di destinazione della unità immobiliare. (Nella specie è stata annullata la delibera assembleare con cui il condominio aveva negato a un condomino l'autorizzazione ad allacciare il proprio immobile, destinato a magazzino, alla rete idrica, fognante e citotelefonica)' (Cass.17-10-2007 n.21832).
Il Regolamento di un Condominio stabilisce che "In caso di morosità oltre gli interessi legali sarà applicata all'assegnatario una sanzione pecuniaria, a titolo di penale convenzionale, pari all'1% della somma dovuta per ogni mese di ritardo nei pagamenti. Si chiede di sapere se tale disposizione sia legittima.
Jul. 27, 2015 by webmaster
Innanzitutto bisogna distinguere la fattispecie di cui sopra dall'ipotesi di sanzione pecuniaria per le violazioni del Regolamento, prevista dall'art.70 delle disposizioni di attuazione al Cod.Civ..
In questo caso la sanzione pecuniaria non può essere superiore alle L.100 (oggi € 0,05), e tale misura non è derogabile dal Regolamento se non verso una misura minore (arg.ex art.72 disp.att.cod.civ.).
La fattispecie proposta in quesito è invece differente e riguarda le ipotesi di previsione in Regolamento di somme aggiuntive a quelle dovute dal condomino, per il caso che questo ritardi nel pagamento delle quote.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale maggioritario tale previsione è perfettamente legittima, rientrando nelle disponibilità negoziale riconosciuta ai condomini in sede di approvazione del Regolamento.
L'indennità di mora disposta da un Regolamento condominiale in caso di ritardato pagamento dei contributi condominiali non ha natura di clausola penale (artt.1382 e ss. Cod.civ.) e quindi non può essere ridotta per via giudiziale (Cass.5977/1992). Conforme la pronuncia del Tribunale di Napoli 4-2-1998 n.990.
Neanche sembra che tale previsione del Regolamento sia contraria alle disposizioni della L.108/96 sulla misura dei tassi usurari, poiché di regola la legge non si applica alle pattuizioni precedenti alla legge stessa (Cass.4380/2003 in riferimento alla sent.Corte Costituzionale 29/2002).
In questo caso la sanzione pecuniaria non può essere superiore alle L.100 (oggi € 0,05), e tale misura non è derogabile dal Regolamento se non verso una misura minore (arg.ex art.72 disp.att.cod.civ.).
La fattispecie proposta in quesito è invece differente e riguarda le ipotesi di previsione in Regolamento di somme aggiuntive a quelle dovute dal condomino, per il caso che questo ritardi nel pagamento delle quote.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale maggioritario tale previsione è perfettamente legittima, rientrando nelle disponibilità negoziale riconosciuta ai condomini in sede di approvazione del Regolamento.
L'indennità di mora disposta da un Regolamento condominiale in caso di ritardato pagamento dei contributi condominiali non ha natura di clausola penale (artt.1382 e ss. Cod.civ.) e quindi non può essere ridotta per via giudiziale (Cass.5977/1992). Conforme la pronuncia del Tribunale di Napoli 4-2-1998 n.990.
Neanche sembra che tale previsione del Regolamento sia contraria alle disposizioni della L.108/96 sulla misura dei tassi usurari, poiché di regola la legge non si applica alle pattuizioni precedenti alla legge stessa (Cass.4380/2003 in riferimento alla sent.Corte Costituzionale 29/2002).
In un condominio composto di due scale un condòmino intende dividere il proprio appartamento in due unità distinte e quindi vorrebbe aprire una nuova porta di accesso sulla scala. Il Regolamento contrattuale stabilisce che il condomino che intende eseguire modifiche alle cose comuni deve darne comunicazione scritta all'amministratore e deve ottenere il consenso del Condominio. Si chiede di sapere se il consenso deve essere espresso dai condomini della sola scala interessata dall'intervento ovvero da tutti, e con quali maggioranze, dato che il Regolamento non ne fa menzione.
Jul. 27, 2015 by webmaster, Nuova porta di accesso sulla scala condominiale, ci vuole il consenso assembleare?
In linea generale l'apertura di una porta di accesso all'appartamento sul pianerottolo condominiale è una attività consentita in quanto pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza come espressione del diritto di utilizzo e modificazione del bene comune stabilito dall'art.1102 cod.civ.
Poichè, altrettanto pacificamente, l'art.1102 costituisce norma derogabile dai Regolamenti condominiali, è ben possibile che il Regolamento contrattuale subordini l'apertura della nuova porta al consenso assembleare.
Nella fattispecie proposta nel quesito, essendo il condominio composto di due scale sarà sufficiente che il consenso venga prestato dai soli appartenenti alla scala interessata.
L'apertura di nuova porta infatti consiste nella modificazione del vano scala, che è un bene in condominio parziale fra gli appartenenti a quella parte dell'edificio.
Quanto alla maggioranza necessaria, non richiedendo il Regolamento una maggioranza particolare, basterà la maggioranza ordinaria ex art.1136 co.3 cod.civ., rapportata ovviamente ai soli aventi diritto al voto nella delibera.
Poichè, altrettanto pacificamente, l'art.1102 costituisce norma derogabile dai Regolamenti condominiali, è ben possibile che il Regolamento contrattuale subordini l'apertura della nuova porta al consenso assembleare.
Nella fattispecie proposta nel quesito, essendo il condominio composto di due scale sarà sufficiente che il consenso venga prestato dai soli appartenenti alla scala interessata.
L'apertura di nuova porta infatti consiste nella modificazione del vano scala, che è un bene in condominio parziale fra gli appartenenti a quella parte dell'edificio.
Quanto alla maggioranza necessaria, non richiedendo il Regolamento una maggioranza particolare, basterà la maggioranza ordinaria ex art.1136 co.3 cod.civ., rapportata ovviamente ai soli aventi diritto al voto nella delibera.
In un condominio, nell'aprile 2007 (data del decreto di trasferimento) è stata acquistata in seguito ad esecuzione forzata un'unità immobiliare. Nel corso del 2007 e del 2008 sono stati approvati i bilanci di condominio e riscaldamento dal 2004 al 2007, nei quali si evidenziano, a seconda dell'esercizio, crediti o debiti a favore o a carico dell'unità immobiliare. Nel corso del 2010 è stata approvata una transazione in un giudizio relativo a crediti di una ditta per anni precedenti il 2007. Nel febbraio 2009 l'assemblea ha deliberato il pagamento di cartelle esattoriali per debiti di imposta dal 1999 al 2003, mentre nel 2010 è stato approvato il consuntivo. Inoltre nel 2010 è stata emessa una sentenza nella quale il Condominio è stato condannato al pagamento di spese legali. Si chiede di sapere come debbano ripartirsi le spese. In particolare: a chi spettano i relativi oneri, all'acquirente o al venditore? E riguardo la transazione?E inoltre, se dovessero arrivare ulteriori cartelle esattoriali fino all'anno 2007, a chi spetta pagare la quota? E infine, a chi spetta pagare le spese legali della sentenza? E quelle del legale del Condominio? Sulle spettanze (per debito o credito) del venditore e dell'acquirente.
Jul. 27, 2015 by Webmaster
L'indirizzo giurisprudenziale attualmente prevalente ritiene che le spese condominiali debbano essere sostenute da colui che riveste la qualità di condòmino nel momento in cui esse debbono essere sostenute.
Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimita' che negli ultimi anni si e' venuta formando, l'obbligo del condòmino nei confronti del condominio di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, atteso il carattere meramente dichiarativo di tali delibere, ma dal momento in cui sia sorta la necessita' della spesa ovvero la concreta attuazione dell'attivita' di manutenzione e quindi per effetto dell'attivita' gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell'autorizzazione accordata all'amministrazione per il compimento di una determinata attivita' di gestione, (cfr. tra le altre Cass. 12013/2004; 6323/2003; 4393/1997).
Una sostanziale importante conferma di questo indirizzo viene da ultimo dalla sentenza Cass.9 settembre 2008 n.23345 nonchè dalla sent. Cass.9 novembre 2009 n.23686.
La conseguenza è che nella divisione delle spese fra venditore ed acquirente non si deve aver riguardo alla data di approvazione da parte dell'assemblea, bensì all'anno di esercizio cui si riferisce la spesa, ancorchè la delibera di approvazione sia successiva anche di anni.
La conseguenza è che viene chiarita la portata di applicazione dell'art.63 disp.att.cod.civ., nel senso che la solidarietà nel debito fra acquirente e venditore si riferisce all'anno (esercizio) in corso al momento della vendita e a quello precedente, dovendosi escludere l'ingresso, nel debito del subentrante, di spese che, sebbene approvate in quel periodo, si riferiscano ad esercizi pregressi, fatto salvo il caso che il subentrante abbia espressamente approvato la spesa assumendone il pagamento.
Analogo discorso deve farsi per ciò che concerne le cartelle esattoriali relative ad esercizi pregressi di sicura spettanza della parte venditrice. E ciò sia nel caso che le cartelle esattoriali siano state già notificate, sia che le stesse debbano ancora essere notificate al Condominio.
Allorchè si pensi alle difficoltà di rintracciare ed esecutare il soggetto alienante in caso di vendita forzata dell'immobile rimane allora evidente come sia estremamente opportuno che il Condominio adotti per tempo tutte le iniziative di recupero degli oneri condominiali insoluti, assumendo in caso contrario il rischio di non soddisfare le proprie ragioni creditorie.
Sulla transazione approvata.
Non viene precisato se la transazione sia stata approvata o meno dal nuovo condòmino.
In ogni caso si ritiene applicabile il criterio sopra espresso, in base al quale la spesa derivante dall'accordo transattivo raggiunto nel 2007 per crediti di esercizi antecedenti grava sul precedente proprietario (venditore) e non sulla parte acquirente.
Sulle spese legali.
a) le spese indicate in sentenza. Atteso che le spese legali della causa vengono liquidate dal Giudice nella sentenza, le stesse spettano a colui che ha la qualità di condòmino alla data di deposito della sentenza. "L'acquirente di un'unità immobiliare nell'edificio, infatti, può essere chiamato a rispondere, nei confronti dell'ente di gestione condominiale, dei debiti del suo dante causa, solidalmente con lui e non al suo posto, esclusivamente per i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea e non per altre ragioni di debito" (Cass.22 giugno 2004, n. 11599). Non si applica in tale caso il principio di ambulatorietà passiva delle obbligazioni condominiali ex art.63 disp.att.cod.civ., che presuppone unicamente l'approvazione assembleare.
b) Le spese del legale del condominio. Per il principio sopra enunciato, deve ritenersi che le spese per la parcella del legale del condominio spettano a colui che sia condòmino al momento dell'emissione della parcella in quanto momento gestionale in cui si verifica la necessità di una spesa.
Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimita' che negli ultimi anni si e' venuta formando, l'obbligo del condòmino nei confronti del condominio di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, atteso il carattere meramente dichiarativo di tali delibere, ma dal momento in cui sia sorta la necessita' della spesa ovvero la concreta attuazione dell'attivita' di manutenzione e quindi per effetto dell'attivita' gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell'autorizzazione accordata all'amministrazione per il compimento di una determinata attivita' di gestione, (cfr. tra le altre Cass. 12013/2004; 6323/2003; 4393/1997).
Una sostanziale importante conferma di questo indirizzo viene da ultimo dalla sentenza Cass.9 settembre 2008 n.23345 nonchè dalla sent. Cass.9 novembre 2009 n.23686.
La conseguenza è che nella divisione delle spese fra venditore ed acquirente non si deve aver riguardo alla data di approvazione da parte dell'assemblea, bensì all'anno di esercizio cui si riferisce la spesa, ancorchè la delibera di approvazione sia successiva anche di anni.
La conseguenza è che viene chiarita la portata di applicazione dell'art.63 disp.att.cod.civ., nel senso che la solidarietà nel debito fra acquirente e venditore si riferisce all'anno (esercizio) in corso al momento della vendita e a quello precedente, dovendosi escludere l'ingresso, nel debito del subentrante, di spese che, sebbene approvate in quel periodo, si riferiscano ad esercizi pregressi, fatto salvo il caso che il subentrante abbia espressamente approvato la spesa assumendone il pagamento.
Analogo discorso deve farsi per ciò che concerne le cartelle esattoriali relative ad esercizi pregressi di sicura spettanza della parte venditrice. E ciò sia nel caso che le cartelle esattoriali siano state già notificate, sia che le stesse debbano ancora essere notificate al Condominio.
Allorchè si pensi alle difficoltà di rintracciare ed esecutare il soggetto alienante in caso di vendita forzata dell'immobile rimane allora evidente come sia estremamente opportuno che il Condominio adotti per tempo tutte le iniziative di recupero degli oneri condominiali insoluti, assumendo in caso contrario il rischio di non soddisfare le proprie ragioni creditorie.
Sulla transazione approvata.
Non viene precisato se la transazione sia stata approvata o meno dal nuovo condòmino.
In ogni caso si ritiene applicabile il criterio sopra espresso, in base al quale la spesa derivante dall'accordo transattivo raggiunto nel 2007 per crediti di esercizi antecedenti grava sul precedente proprietario (venditore) e non sulla parte acquirente.
Sulle spese legali.
a) le spese indicate in sentenza. Atteso che le spese legali della causa vengono liquidate dal Giudice nella sentenza, le stesse spettano a colui che ha la qualità di condòmino alla data di deposito della sentenza. "L'acquirente di un'unità immobiliare nell'edificio, infatti, può essere chiamato a rispondere, nei confronti dell'ente di gestione condominiale, dei debiti del suo dante causa, solidalmente con lui e non al suo posto, esclusivamente per i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea e non per altre ragioni di debito" (Cass.22 giugno 2004, n. 11599). Non si applica in tale caso il principio di ambulatorietà passiva delle obbligazioni condominiali ex art.63 disp.att.cod.civ., che presuppone unicamente l'approvazione assembleare.
b) Le spese del legale del condominio. Per il principio sopra enunciato, deve ritenersi che le spese per la parcella del legale del condominio spettano a colui che sia condòmino al momento dell'emissione della parcella in quanto momento gestionale in cui si verifica la necessità di una spesa.
L'appartamento condominiale (ex portiere) è stato locato a terzi e gli è stata attribuita forfetariamente una quota millesimale al fine di calcolare gli oneri condominiali a carico del conduttore. Il Regolamento condominiale, che si allega, stabilisce che tale bene appartiene ai soli proprietari degli appartamenti. In occasione dell”esecuzione di lavori di manutenzione delle facciate, l”appartamento ex portiere è tenuto alla contribuzione di una quota? Se sì in quale misura?
Jul. 28, 2015 by webmaster
L”attribuzione di una quota millesimale forfetaria all”appartamento condominiale è un artificio che si incontra assai spesso nella pratica condominiale, che è idoneo a generare confusione fra i condòmini e malintesi con l”amministratore.
Tale espediente serve a calcolare gli oneri accessori, ma finisce per individuare il bene comune al di fuori dell”insieme delle parti condominiali fino ad attribuirgli una sua indipendenza, con ogni conseguenza in merito ad esempio alle quote di manutenzione straordinaria (coperture, facciate, ecc.).
In realtà l”appartamento, al pari di tutti gli altri beni comuni è già contemplato e ricompreso indistintamente fra i beni comuni.
La misura della partecipazione alla manutenzione delle parti comuni a carico dei condòmini è espressa dalla quota millesimale attribuita a ciascuno e a nulla rileva che all”appartamento condominiale sia stata data una quota forfetaria.
L”appartamento ex portiere dunque non partecipa alla manutenzione delle facciate, poiché è compreso fra i beni comuni. La ripartizione della spesa dovrà seguire i criteri espressi dal regolamento.
Tale espediente serve a calcolare gli oneri accessori, ma finisce per individuare il bene comune al di fuori dell”insieme delle parti condominiali fino ad attribuirgli una sua indipendenza, con ogni conseguenza in merito ad esempio alle quote di manutenzione straordinaria (coperture, facciate, ecc.).
In realtà l”appartamento, al pari di tutti gli altri beni comuni è già contemplato e ricompreso indistintamente fra i beni comuni.
La misura della partecipazione alla manutenzione delle parti comuni a carico dei condòmini è espressa dalla quota millesimale attribuita a ciascuno e a nulla rileva che all”appartamento condominiale sia stata data una quota forfetaria.
L”appartamento ex portiere dunque non partecipa alla manutenzione delle facciate, poiché è compreso fra i beni comuni. La ripartizione della spesa dovrà seguire i criteri espressi dal regolamento.
Nel mese di gennaio 2009 un perito nominato dal condominio ha certificato la necessità di abbattimento di alcuni alberi condominiali, senza però che si procedesse all'abbattimento degli alberi e senza decidere null'altro in merito. Successivamente il condominio ha venduto a terza persona un appartamento comune e l'adiacente stenditoio. Di recente il sottoscritto amministratore ha proceduto all'abbattimento degli alberi ed all'approvazione della ripartizione di spesa a carico di tutti i condòmini, compresa la nuova proprietaria dell'appartamento comune e dello stenditoio. La condòmina ha contestato l'attribuzione affermando che al momento della vendita il condominio era già a conoscenza del problema. Si chiede di sapere se la condòmina ha ragione. Si chiede inoltre di sapere se sia corretto aderire alla richiesta della condòmina di indicare in riparto la somma delle spese relative alle due unità immobiliari acquistate indicando solo una di esse (l'appartamento) con la somma delle due quote millesimali.
Jul. 27, 2015 by webmaster
Dal quesito formulato risulta che la necessità di abbattimento degli alberi pericolanti nel giardino condominiale si è manifestata nel mese di gennaio 2009, anche se poi non si è provveduto tempestivamente all'operazione.
Nel frattempo il Condominio ha venduto l'appartamento condominiale ed un adiacente stenditoio ad una condòmina, che oggi, chiamata a sostenere pro quota la spesa di abbattimento, rifiuta di parteciparvi in funzione della nuova unità immobiliare.
Alla luce della prospettazione fornita, la condòmina ha ragione.
Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimita' che negli ultimi anni si e' venuta formando, l'obbligo del condòmino nei confronti del condominio di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, atteso il carattere meramente dichiarativo di tali delibere, ma dal momento in cui sia sorta la necessita' della spesa ovvero la concreta attuazione dell'attivita' di manutenzione e quindi per effetto dell'attivita' gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell'autorizzazione accordata all'amministrazione per il compimento di una determinata attivita' di gestione, (cfr. tra le altre Cass. 12013/2004; 6323/2003; 4393/1997).
Una sostanziale importante conferma di questo indirizzo viene da ultimo dalla sentenza Cass.9 settembre 2008 n.23345 nonché dalla sent. Cass.9 novembre 2009 n.23686.
E' dunque irrilevante che l'assemblea non abbia approvato la spesa per l'abbattimento prima della vendita dell'unità immobiliare, poiché si deve aver riguardo al momento in cui sorge la necessità gestionale (24 gennaio 2009, data della perizia) e non alla successiva eventuale delibera di approvazione, che ha un valore meramente dichiarativo e non sostanziale.
La condòmina dunque appare estranea alla spesa, anche se sostenuta successivamente all'acquisto.
La spesa andrà quindi ripartita fra tutti i condomini, con esclusione della proprietà dell'unità immobiliare già di appartenenza comune.
In secondo luogo, l'accorpamento dello stenditoio con l'appartamento int.10 nella ripartizione delle spese può avere rilevanza giuridica solo se corrisponde ad un effettivo accorpamento (anche catastale) delle due unità in una sola. Diversamente sarà opportuno indicare le due unità separatamente, anche se il risultato aritmetico in entrambi i casi non varia.
Nel frattempo il Condominio ha venduto l'appartamento condominiale ed un adiacente stenditoio ad una condòmina, che oggi, chiamata a sostenere pro quota la spesa di abbattimento, rifiuta di parteciparvi in funzione della nuova unità immobiliare.
Alla luce della prospettazione fornita, la condòmina ha ragione.
Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimita' che negli ultimi anni si e' venuta formando, l'obbligo del condòmino nei confronti del condominio di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, atteso il carattere meramente dichiarativo di tali delibere, ma dal momento in cui sia sorta la necessita' della spesa ovvero la concreta attuazione dell'attivita' di manutenzione e quindi per effetto dell'attivita' gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell'autorizzazione accordata all'amministrazione per il compimento di una determinata attivita' di gestione, (cfr. tra le altre Cass. 12013/2004; 6323/2003; 4393/1997).
Una sostanziale importante conferma di questo indirizzo viene da ultimo dalla sentenza Cass.9 settembre 2008 n.23345 nonché dalla sent. Cass.9 novembre 2009 n.23686.
E' dunque irrilevante che l'assemblea non abbia approvato la spesa per l'abbattimento prima della vendita dell'unità immobiliare, poiché si deve aver riguardo al momento in cui sorge la necessità gestionale (24 gennaio 2009, data della perizia) e non alla successiva eventuale delibera di approvazione, che ha un valore meramente dichiarativo e non sostanziale.
La condòmina dunque appare estranea alla spesa, anche se sostenuta successivamente all'acquisto.
La spesa andrà quindi ripartita fra tutti i condomini, con esclusione della proprietà dell'unità immobiliare già di appartenenza comune.
In secondo luogo, l'accorpamento dello stenditoio con l'appartamento int.10 nella ripartizione delle spese può avere rilevanza giuridica solo se corrisponde ad un effettivo accorpamento (anche catastale) delle due unità in una sola. Diversamente sarà opportuno indicare le due unità separatamente, anche se il risultato aritmetico in entrambi i casi non varia.
Si desidera conoscere il criterio di ripartizione della spesa di sostituzione della serranda basculante di accesso carrabile alla zona dei box, tenuto conto che all’interno di tale area sono ubicati una centrale autoclave, la centrale ascensore e i contatori elettrici dei singoli appartamenti. In particolare si chiede se si applichi anche in tal caso la tabella millesimale box.
Jul. 27, 2015 by webmaster, ripartizione spesa serranda
La soluzione del quesito non può prescindere dall’esame della fattispecie concreta in relazione con la funzione del bene che si intende sostituire e con la sua destinazione principale.
Ciò premesso, la serranda basculante di accesso alla zona box è un bene destinato essenzialmente a consentire un agevole transito carrabile o pedonale, in entrata o in uscita dalla predetta autorimessa, consentendo altresì un più agevole deflusso in caso di pericolo rispetto alla precedente saracinesca avvolgibile, in quanto più maneggevole.
Tanto basterebbe già per individuare il criterio di ripartizione della spesa della sostituzione.
Ma vi è di più.
In risposta all’obiezione, per la verità molto frequente e del tutto comprensibile, circa la presenza di altri beni condominiali o esclusivi all’interno della zona box, occorre sottolineare che nei casi dubbi, al fine di identificare con ragionevole certezza il criterio di spesa, deve prevalere la destinazione principale del bene, mentre gli utilizzi secondari devono considerarsi recessivi.
Nel nostro caso la destinazione principale del bene da sostituire (la serranda basculante) è quella di consentire l’accesso carrabile e, secondariamente, pedonale alla zona box.
Questa a sua volta è destinata in via assolutamente preponderante e principale al transito e alla manivra delle vetture dei proprietari di box, mentre la accessibilità dell’autoclave, della centrale ascensore e dei contatori singoli deve considerarsi funzione puramente secondaria ed aggiuntiva della principale.
Dobbiamo dare per certo che nella redazione del Regolamento condominiale si sia tenuto conto di tale circostanza.
Il criterio di ripartizione della spesa per la sostituzione della serranda avvolgibile con quella basculante deve quindi senz’altro rinvenirsi nella tabella di spesa dei box.
Ciò premesso, la serranda basculante di accesso alla zona box è un bene destinato essenzialmente a consentire un agevole transito carrabile o pedonale, in entrata o in uscita dalla predetta autorimessa, consentendo altresì un più agevole deflusso in caso di pericolo rispetto alla precedente saracinesca avvolgibile, in quanto più maneggevole.
Tanto basterebbe già per individuare il criterio di ripartizione della spesa della sostituzione.
Ma vi è di più.
In risposta all’obiezione, per la verità molto frequente e del tutto comprensibile, circa la presenza di altri beni condominiali o esclusivi all’interno della zona box, occorre sottolineare che nei casi dubbi, al fine di identificare con ragionevole certezza il criterio di spesa, deve prevalere la destinazione principale del bene, mentre gli utilizzi secondari devono considerarsi recessivi.
Nel nostro caso la destinazione principale del bene da sostituire (la serranda basculante) è quella di consentire l’accesso carrabile e, secondariamente, pedonale alla zona box.
Questa a sua volta è destinata in via assolutamente preponderante e principale al transito e alla manivra delle vetture dei proprietari di box, mentre la accessibilità dell’autoclave, della centrale ascensore e dei contatori singoli deve considerarsi funzione puramente secondaria ed aggiuntiva della principale.
Dobbiamo dare per certo che nella redazione del Regolamento condominiale si sia tenuto conto di tale circostanza.
Il criterio di ripartizione della spesa per la sostituzione della serranda avvolgibile con quella basculante deve quindi senz’altro rinvenirsi nella tabella di spesa dei box.
Sono stati deliberati interventi di rifacimento della pavimentazione/impermeabilizzazione di alcune terrazze ad uso esclusivo site al piano attico, finalizzati a risolvere problemi infiltrativi nelle sottostanti unità immobiliari. Le terrazze ad uso esclusivo per una parte svolgono funzione di copertura dei sottostanti appartamenti, per una parte risultano aggettanti rispetto alla facciata condominiale. L’Amministrazione ha provveduto a ripartire la spesa ponendo interamente a carico del proprietario del terrazzo ad uso esclusivo il costo della parte aggettante e ripartendo secondo l’art. 1126 c.c. la restante parte con funzione di copertura. Tale criterio è stato contestato dai proprietari delle terrazze i quali sostengono che l’intero costo (parte coprente e parte aggettante) debba essere suddiviso ex art. 1126 c.c., tenuto conto che negli anni passati analogo lavoro era stato così ripartito”. Il richiedente chiede di conoscere quale sia il corretto criterio di ripartizione da applicare ed in particolare se il precedente criterio utilizzato a suo tempo possa costituire un precedente da seguire per tutti i successivi analoghi interventi.
Jul. 27, 2015 by wemaster
L’art. 1126 c.c. si colloca all’interno delle norme (artt. 1123, 1124, 1125 e, appunto, 1226 c.c.) che regolano la ripartizione delle spese necessarie alla gestione del condominio.
Tale norma, finalizzata alla alla disciplina di una particolare tipologia di costi, al pari delle altre, assume la veste di un criterio legale di ripartizione, che, in quanto tale, si pone come obbligatorio per le spese di manutenzione del lastrico solare esclusivo e delle terrazze a livello che fungono da copertura alle porzioni di piano sottostanti, poste nella verticale della sua proiezione.
La ripartizione dell’art. 1126 c.c. trova ragione e giustificazione in considerazione della funzione di copertura che svolgono tali manufatti in relazione alle unità immobiliare sottoposte, sicchè essa è ritenuta dalla giurisprudenza non applicabile alla parte aggettante del lastrico/terrazza a livello, che, protendendosi al di fuori del perimetro dell’edificio, non esercita la predetta funzione di copertura.
Il corretto criterio di ripartizione della spesa di rifacimento del terrazzo esclusivo parzialmente aggettante prevede che, conformemente ad un orientamento giurisprudenziale ormai acquisito, siano addebitate al solo utilizzatore esclusivo le spese afferenti la parte in aggetto, mentre la restante parte avente funzione di copertura delle unità immobiliari sottostanti viene ripartita ai sensi dell'art.1126 cod.civ.
Secondo la giurisprudenza, infatti, la parte aggettante di una terrazza di piano attico rappresenta infatti esclusivamente un ampliamento della superficie utile della terrazza, considerando tale superficie come quella di un balcone (Trib. Catania 20 marzo 1986, n. 410: “le spese relative agli sporti della terrazza a livello- aggetti- di godimento esclusivo di un singolo condomino gravano per intero sul proprietario di cui sono al servizio, mentre per tutto il resto della terrazza soccorre l’art. 1126 c.c.”).
Le spese di riparazione della parte in aggetto della terrazza di proprietà esclusiva di uno dei condomini gravano soltanto su questo ultimo (App. L'Aquila 14 febbraio 1992).
E’ dunque corretto il criterio di riparto adottato dal ricorrente.
Quanto alla vincolatività del pregresso diverso criterio adottato all’assemblea, ciò può affermarsi solo se questo fu deciso con il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio.
In mancanza, la pregressa suddivisione non costituisce valore di precedente cui obbligatoriamente attenersi.
Qualora si decidesse di applicare il precedente, ovvero una regolamentazione di spesa diversa da quella correttamente applicata dal richiedente, è necessario far presente ai condomini che la relativa delibera potrebbe essere impugnata, perché in contrasto con il criterio legale dettato dall’art. 1126 c.c. ed il principio di diritto ad esso sotteso, che impone tale criterio in ragione della funzione/utilità rappresentata dalla parte di “copertura”.
Tale norma, finalizzata alla alla disciplina di una particolare tipologia di costi, al pari delle altre, assume la veste di un criterio legale di ripartizione, che, in quanto tale, si pone come obbligatorio per le spese di manutenzione del lastrico solare esclusivo e delle terrazze a livello che fungono da copertura alle porzioni di piano sottostanti, poste nella verticale della sua proiezione.
La ripartizione dell’art. 1126 c.c. trova ragione e giustificazione in considerazione della funzione di copertura che svolgono tali manufatti in relazione alle unità immobiliare sottoposte, sicchè essa è ritenuta dalla giurisprudenza non applicabile alla parte aggettante del lastrico/terrazza a livello, che, protendendosi al di fuori del perimetro dell’edificio, non esercita la predetta funzione di copertura.
Il corretto criterio di ripartizione della spesa di rifacimento del terrazzo esclusivo parzialmente aggettante prevede che, conformemente ad un orientamento giurisprudenziale ormai acquisito, siano addebitate al solo utilizzatore esclusivo le spese afferenti la parte in aggetto, mentre la restante parte avente funzione di copertura delle unità immobiliari sottostanti viene ripartita ai sensi dell'art.1126 cod.civ.
Secondo la giurisprudenza, infatti, la parte aggettante di una terrazza di piano attico rappresenta infatti esclusivamente un ampliamento della superficie utile della terrazza, considerando tale superficie come quella di un balcone (Trib. Catania 20 marzo 1986, n. 410: “le spese relative agli sporti della terrazza a livello- aggetti- di godimento esclusivo di un singolo condomino gravano per intero sul proprietario di cui sono al servizio, mentre per tutto il resto della terrazza soccorre l’art. 1126 c.c.”).
Le spese di riparazione della parte in aggetto della terrazza di proprietà esclusiva di uno dei condomini gravano soltanto su questo ultimo (App. L'Aquila 14 febbraio 1992).
E’ dunque corretto il criterio di riparto adottato dal ricorrente.
Quanto alla vincolatività del pregresso diverso criterio adottato all’assemblea, ciò può affermarsi solo se questo fu deciso con il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio.
In mancanza, la pregressa suddivisione non costituisce valore di precedente cui obbligatoriamente attenersi.
Qualora si decidesse di applicare il precedente, ovvero una regolamentazione di spesa diversa da quella correttamente applicata dal richiedente, è necessario far presente ai condomini che la relativa delibera potrebbe essere impugnata, perché in contrasto con il criterio legale dettato dall’art. 1126 c.c. ed il principio di diritto ad esso sotteso, che impone tale criterio in ragione della funzione/utilità rappresentata dalla parte di “copertura”.
Un appartamento all'ultimo piano è locato ad una famiglia che possiede un cane di media taglia e un gatto. Il predetto cane disturba i residenti, abbaiando tutto il giorno e spesso anche di notte; inoltre quando incrocia gi altri condòmini sia avventa su di essi, a stento trattenuto dall'accompagnatore di turno. Di notte poi uno dei componenti della famiglia pesta i piedi sul pavimento, tanto da svegliare gli occupanti dell'appartamento sottostante e talvolta anche quelli degli appartamenti limitrofi, con grave disagio e stress. Come deve intervenire l'amministratore per far osservare il Regolamento da condòmini e conduttori? Quali interventi può attuare presso la pubblica autorità per far cessare le molestie? E' corresponsabile l'amministratore per i danni subiti dai condòmini se non fa tutto il possibile per far cessare le molestie? Quali azioni si rendono necessarie per risolvere le problematiche descritte e chi deve metterle in atto? Sulla disposizione del Regolamento "provvisorio".
Jul. 27, 2015 by webmaster
Nell'esaminare la delicata questione va osservato che il Regolamento reca all'art.2 il divieto di tenere animali che rechino danno agli altri condòmini e l'obbligo di tenerli al guinzaglio e di evitare che abbaino o rechino disturbo ai vicini specialmente di notte.
Non è dato sapere se il Regolamento in questione abbia natura contrattuale, essendo solo specificato che esso è "provvisorio" e viene applicato da molti anni.
Tenuto conto del disposto dell'art.2 Cost., per il quale la Repubblica tutela il cittadino sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, deve ritenersi che il divieto di detenere animali sia affetto da nullità.
Secondo un risalente indirizzo giurisprudenziale la limitazione del diritto di detenere animali, convenuta fra tutti i partecipanti al condominio costituisce una legittima limitazione delle facoltà dominicali del diritto di proprietà, perfettamente concepibile nei regolamenti.
Tuttavia l'indirizzo più recente, in adesione a quanto sopra accennato, intende il diritto di detenere animali come esplicazione di un diritto della personalità dell'individuo.
Si tratta, del resto, di un diritto che gode da quasi venti anni di un esplicito e impegnativo riconoscimento normativo, in forza dell'art. 1, legge n. 281/1991, secondo cui: "Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti e il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente".
Sul latrato del cane.
Diverso è il discorso sulle immissioni di rumori originati dal latrare dei cani.
Premesso che nella vita in condominio, non può prescindersi da una fisiologica quota di sacrificio della propria tranquillità, va però sottolineato che l'intollerabilità delle immissioni di rumore sarà sanzionabile quando, avuto riguardo alla situazione concreta, le immissioni stesse eccedano dal criterio di c.d. "normalità dell'uso" per sconfinare nell'abuso delle proprie facoltà proprietarie, con compressione dei diritti altrui.
Pur dovendosi evidenziare che il problema delle immissioni di rumore è essenzialmente interprivato, si deve tuttavia osservare che l'amministratore è tenuto a garantire il corretto utilizzo dei beni comuni (ivi compreso, nel caso, il bene tranquillità) ed il condominio può essere ritenuto responsabile in via risarcitoria, quando ometta di adottare tutte le cautele necessarie.
E' stato ritenuto responsabile il Condominio in persona del suo amministratore (e condannato al risarcimento del danno) per non aver attuato tutte le azioni e le cautele necessarie a tutela dei beni comuni, nel caso di immissioni provocate dalle deiezioni del cane di proprietà di un condòmino nel cortile comune e dal rumore provocato dal latrato del medesimo cane (Trib.Bari 12-4-2006 n.1029).
E' importante quindi che l'amministratore si attivi a tutela della completa fruizione delle parti comuni del Condominio purchè la condotta del singolo condòmino (e/o del conduttore del suo appartamento) comporti la violazione delle norme del Regolamento condominiale ovvero una illegittima e rilevante compressione delle facoltà di utilizzo delle parti comuni in capo agli altri condòmini.
Le modalità di intervento potranno essere stragiudiziali (lettera di diffida) ovvero, in caso di pertinace violazione, anche giudiziali in via ordinaria o di urgenza.
Ove tuttavia non si ravvisi un apprezzabile pregiudizio nell'utilizzo delle parti comuni, l'amministratore non sarà legittimato ad intervenire.
Sui rumori notturni.
Nel caso dei rumori notturni non sembra che sia compromesso il godimento delle parti comuni, atteso che i rumori notturni disturbano la quiete e il riposo delle persone da un appartamento all'altro.
In altri termini le immissioni di rumore coinvolgono esclusivamente unità immobiliari esclusive, con ciò escludendo una legittimazione dell'amministratore ad intervenire, sia sotto il profilo della turbativa delle facoltà proprietarie, sia sotto il profilo della tutela del diritto alla salute personale.
Non è dato sapere se il Regolamento in questione abbia natura contrattuale, essendo solo specificato che esso è "provvisorio" e viene applicato da molti anni.
Tenuto conto del disposto dell'art.2 Cost., per il quale la Repubblica tutela il cittadino sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, deve ritenersi che il divieto di detenere animali sia affetto da nullità.
Secondo un risalente indirizzo giurisprudenziale la limitazione del diritto di detenere animali, convenuta fra tutti i partecipanti al condominio costituisce una legittima limitazione delle facoltà dominicali del diritto di proprietà, perfettamente concepibile nei regolamenti.
Tuttavia l'indirizzo più recente, in adesione a quanto sopra accennato, intende il diritto di detenere animali come esplicazione di un diritto della personalità dell'individuo.
Si tratta, del resto, di un diritto che gode da quasi venti anni di un esplicito e impegnativo riconoscimento normativo, in forza dell'art. 1, legge n. 281/1991, secondo cui: "Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti e il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente".
Sul latrato del cane.
Diverso è il discorso sulle immissioni di rumori originati dal latrare dei cani.
Premesso che nella vita in condominio, non può prescindersi da una fisiologica quota di sacrificio della propria tranquillità, va però sottolineato che l'intollerabilità delle immissioni di rumore sarà sanzionabile quando, avuto riguardo alla situazione concreta, le immissioni stesse eccedano dal criterio di c.d. "normalità dell'uso" per sconfinare nell'abuso delle proprie facoltà proprietarie, con compressione dei diritti altrui.
Pur dovendosi evidenziare che il problema delle immissioni di rumore è essenzialmente interprivato, si deve tuttavia osservare che l'amministratore è tenuto a garantire il corretto utilizzo dei beni comuni (ivi compreso, nel caso, il bene tranquillità) ed il condominio può essere ritenuto responsabile in via risarcitoria, quando ometta di adottare tutte le cautele necessarie.
E' stato ritenuto responsabile il Condominio in persona del suo amministratore (e condannato al risarcimento del danno) per non aver attuato tutte le azioni e le cautele necessarie a tutela dei beni comuni, nel caso di immissioni provocate dalle deiezioni del cane di proprietà di un condòmino nel cortile comune e dal rumore provocato dal latrato del medesimo cane (Trib.Bari 12-4-2006 n.1029).
E' importante quindi che l'amministratore si attivi a tutela della completa fruizione delle parti comuni del Condominio purchè la condotta del singolo condòmino (e/o del conduttore del suo appartamento) comporti la violazione delle norme del Regolamento condominiale ovvero una illegittima e rilevante compressione delle facoltà di utilizzo delle parti comuni in capo agli altri condòmini.
Le modalità di intervento potranno essere stragiudiziali (lettera di diffida) ovvero, in caso di pertinace violazione, anche giudiziali in via ordinaria o di urgenza.
Ove tuttavia non si ravvisi un apprezzabile pregiudizio nell'utilizzo delle parti comuni, l'amministratore non sarà legittimato ad intervenire.
Sui rumori notturni.
Nel caso dei rumori notturni non sembra che sia compromesso il godimento delle parti comuni, atteso che i rumori notturni disturbano la quiete e il riposo delle persone da un appartamento all'altro.
In altri termini le immissioni di rumore coinvolgono esclusivamente unità immobiliari esclusive, con ciò escludendo una legittimazione dell'amministratore ad intervenire, sia sotto il profilo della turbativa delle facoltà proprietarie, sia sotto il profilo della tutela del diritto alla salute personale.
Vorrei sapere quale criterio si deve applicare per la ripartizione di spesa di rifacimento del cortile che copre una sottostante palestra e, sotto ancora, un garage privato. Si allega Regolamento.
Jul. 27, 2015 by webmaster
Premesso che il lavoro di rifacimento del cortile in questione comprende l”opera di impermeabilizzazione, devono esaminarsi le norme del Regolamento che possono disciplinare la fattispecie.
Nel Regolamento si rileva che:
1) l”art.5, alla lett.f), comprende fra le parti comuni di tutti i condòmini in proporzione della tabella A/1 “il cortile interno compresi i muri di recinzione”.
2) L”art.55 stabilisce che “le spese per la manutenzione del cortile (pavimentazione)” vengono ripartite secondo proporzioni percentuali fra le scale che su di esso affacciano e accedono.
3) L”art.56 stabilisce una diverso criterio di ripartizione per le spese di pulizia del cortile.
La soluzione al quesito deve essere data secondo un criterio normativo ed uno interpretativo.
Sotto il primo profilo deve escludersi la ripartizione della spesa in base all”art.1126 cod.civ., poiché non si verte in tema di lastrici di “uso esclusivo”: la giurisprudenza è attestata su posizioni rigorose in tale senso.
Deve parimenti escludersi una ripartizione in base al criterio dell”art.1125 cod.civ. (in applicazione analogica) in quanto la manutenzione apporta beneficio non solo all”immobile del primo piano sotterraneo (palestra), ma anche a quello del secondo piano sotterraneo (autorimessa) che con tale criterio verrebbe invece esclusa dalla spesa.
Sembra quindi opportuno fare riferimento ad un criterio combinato fra il disposto dell”art.1123 cod.civ. e quello del Regolamento, applicando soprattutto un criterio interpretativo.
In particolare le disposizioni degli artt.55 e 56 del Regolamento si contrappongono in quanto la prima sembra disporre circa spese di manutenzione straordinaria, mentre la seconda riguarda solo spese ordinarie (la pulizia).
Ne discende che, pur con qualche dubbio, il criterio da applicare per la ripartizione della spesa è quello dell”art.55 Regolamento cond.le.
L”espressione “manutenzione del cortile (pavimentazione)”, contrapposta a “pulizia”, ancorché del tutto sommariamente, sembra comprendere oltre alla manutenzione del semplice piano di calpestio, anche la manutenzione di tutta l”impermeabilizzazione del cortile, coinvolgendo quindi anche la funzione di copertura indiscutibilmente svolta dal cortile stesso in favore dei locali sottostanti
In favore di tale soluzione deve peraltro considerarsi che la scala A, esclusa dal computo ex art.55 Regolamento, effettivamente non ha alcun passaggio nel cortile, avendo diverso accesso.
Nel Regolamento si rileva che:
1) l”art.5, alla lett.f), comprende fra le parti comuni di tutti i condòmini in proporzione della tabella A/1 “il cortile interno compresi i muri di recinzione”.
2) L”art.55 stabilisce che “le spese per la manutenzione del cortile (pavimentazione)” vengono ripartite secondo proporzioni percentuali fra le scale che su di esso affacciano e accedono.
3) L”art.56 stabilisce una diverso criterio di ripartizione per le spese di pulizia del cortile.
La soluzione al quesito deve essere data secondo un criterio normativo ed uno interpretativo.
Sotto il primo profilo deve escludersi la ripartizione della spesa in base all”art.1126 cod.civ., poiché non si verte in tema di lastrici di “uso esclusivo”: la giurisprudenza è attestata su posizioni rigorose in tale senso.
Deve parimenti escludersi una ripartizione in base al criterio dell”art.1125 cod.civ. (in applicazione analogica) in quanto la manutenzione apporta beneficio non solo all”immobile del primo piano sotterraneo (palestra), ma anche a quello del secondo piano sotterraneo (autorimessa) che con tale criterio verrebbe invece esclusa dalla spesa.
Sembra quindi opportuno fare riferimento ad un criterio combinato fra il disposto dell”art.1123 cod.civ. e quello del Regolamento, applicando soprattutto un criterio interpretativo.
In particolare le disposizioni degli artt.55 e 56 del Regolamento si contrappongono in quanto la prima sembra disporre circa spese di manutenzione straordinaria, mentre la seconda riguarda solo spese ordinarie (la pulizia).
Ne discende che, pur con qualche dubbio, il criterio da applicare per la ripartizione della spesa è quello dell”art.55 Regolamento cond.le.
L”espressione “manutenzione del cortile (pavimentazione)”, contrapposta a “pulizia”, ancorché del tutto sommariamente, sembra comprendere oltre alla manutenzione del semplice piano di calpestio, anche la manutenzione di tutta l”impermeabilizzazione del cortile, coinvolgendo quindi anche la funzione di copertura indiscutibilmente svolta dal cortile stesso in favore dei locali sottostanti
In favore di tale soluzione deve peraltro considerarsi che la scala A, esclusa dal computo ex art.55 Regolamento, effettivamente non ha alcun passaggio nel cortile, avendo diverso accesso.